Caro Diario
di Nanni Moretti

 

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Scheda di lettura a cura di Carmine Caputo

 

 

 

SOMMARIO:

 

 

1. Sinossi

2. Lista delle sequenze

3. Le dichiarazioni del regista

4. Descrizione analitica di una sequenza

5. Analisi del film

5.1. Analisi del film: l'espressione

5.2. Analisi del film: il contenuto

6. La fortuna critica

 

 

 

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1. Sinossi

Tre 'capitoli' in cui Moretti interpreta se stesso: nel primo, In vespa, vagabonda a bordo della sua vespa per le strade di una Roma estiva e quasi deserta. Nei cinema si proiettano solo film italiani auto-commiseratori o pellicole statunitensi sanguinarie: meglio allora lo spettacolo delle case e dei quartieri, scambiando qualche battuta con i passanti, tra i quali la Jennifer Beals di Flashdance. Dopo aver letto ad un giovane critico i suoi articoli che esaltano inspiegabilmente il cinema pulp, l'autore conclude il suo girovagare sulla tomba di Pasolini. Isole è ancora la storia di un vagabondaggio, ma stavolta tra le isole Eolie, dove il protagonista trascorre un periodo di vacanza alla ricerca dell'ispirazione per il suo nuovo film. Con l'amico Gerardo, affascinato un po' per volta da quella tv che dice di non vedere da trent'anni, incontrerà genitori iper-apprensivi, sindaci megalomani, bizzarre animatrici turistiche e nuovi eremiti che vivono senza elettricità. Con Medici, Moretti racconta la sua malattia e il suo lungo vagare tra dottori prima che gli venga fatta la diagnosi corretta del suo tumore.

 

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2. Lista delle sequenze

 

In vespa

1. Il protagonista scrive una pagina di diario.

2. In giro per Roma, seguito dalla camera-car, il protagonista percorre strade completamente deserte, accompagnato dal commento sonoro extradiegetico molto ritmato.

3. Intervento della voce-soggetto [1] di Moretti, che descrive la situazione dei cinema romani d'estate. Un seconda voce-off che conversa ci introduce, tramite un raccordo sonoro, ad uno dei film italiani proiettati in estate. I protagonisti del film nel film discutono in un triste salotto, mentre Moretti, in sala, disapprova a voce alta i loro ragionamenti e la loro autocommiserazione. Lui non si sente un fallito, ma uno 'splendido quarantenne'.

4. Cambio del commento musicale, che stavolta è costituito da una calda voce blues. Moretti attraversa la Garbatella, il suo quartiere preferito, si ferma in una casa, e improvvisa l'idea di volerla visionare per girarci un improbabile 'musical su di un pasticciere trotzschista', semplice espediente per poterla guardare da dentro.

5. Continua il percorso tra i quartieri romani, con il regista protagonista che si sofferma a raccontare le sue passioni. Gli attici, per esempio, che si ferma a fissare con la moglie, anche lei munita dell'inconfondibile casco bianco. Il ponte, attraversato due volte al giorno.

6. Incontro ad un semaforo rosso con un tizio in Mercedes, al quale Moretti spiega la sua sfiducia nella maggioranza delle persone.

7. La passione per il ballo: "Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita ..." Musica latino-americana extradiegetica dapprima, con successivo raccordo sonoro e quindi ingresso nella diegesi: un gruppo suona la canzone mentre dei giovani ballano. Moretti canta con il complesso, poi si avvicina ad una coppia, e spiega la sua passione per il ballo. Come sempre, più che di un dialogo si tratta di un monologo, dal momento che i due interpellati annuiscono senza rispondere.

8. Spinaceto, quartiere nuovo e scarsamente considerato. In fondo ad una strada un giovane seduto si mostra d'accordo sull'asserzione di Moretti il quale afferma che tutto sommato Spinaceto non è così male.

9. Commento sonoro riservato ad un'altra canzone molto esotica, che mantiene uno statuto ambiguo di extra/intra diegetica, dal momento che Moretti sembra muoversi a ritmo, come se potesse ascoltarla. Arrivo a Casalpalocco e incontro con una persona anziana che scende da una fiat Tipo con due videocassette e le pantofole, comportamento che Moretti ci aveva preannunciato tipico del quartiere.

10. Incontro con Jennifer Beals, e dialogo un po' surreale con lei e suo marito (il regista Alexander Rockwell). Moretti apprezza le scarpe dell'attrice (un'autentica fissazione dell'autore, ripensando a Bianca). Segue un 'dibattito' su come definire Moretti, che alla fine ottiene un 'quasi-scemo' ...

11. "Che bello sarebbe un film fatto solo di case ..." Carrellate sulle abitazioni della Garbatella, costruite nel 1927, del Villaggio Olimpico, 1960, di Trufello, 1960, Vigne Nuove, 1987, Monteverde, 1939, mentre la musica di sottofondo è sempre una ritmata melodia afro-americana.

12. Moretti entra in un cinema: sequenza di immagini di Henry-Pioggia di Sangue, intervallate dalle sue reazioni in sala. Ne esce sconvolto, vagando, stavolta a piedi, ripensando ad un articolo positivo che aveva letto sul suo film (è sempre la sua voce-soggetto a comunicarci i suoi pensieri).

13. Il protagonista è vicino al letto di un giovane critico, che piange e si dimena mentre Moretti gli legge con veemenza le recensioni da lui stesso scritte su Henry e altri film.

14. Moretti sfoglia vecchi giornali che titolano della morte di Pasolini.

15. Accompagnamento sonoro del pianoforte di Keith Jarrett, mentre la camera car segue Moretti che attraversa in vespa il quartiere degradato dove Pasolini fu ucciso, fino a raggiungerne il monumento. La sequenza, piuttosto lunga, si chiude con la veduta, attraverso una rete metallica, del monumento, dimenticato e circondato da erbacce, mentre si intravede la porta di calcio di un campetto di periferia.

 

Isole

1. Sul traghetto: voce soggetto del protagonista che presenta le motivazioni del suo viaggio

2. Dialogo incomprensibile, coperto dal rumore del traffico, di Moretti con l'amico Gerardo, giunto ad accoglierlo. Il protagonista entra in un bar, dove è 'rapito' da un televisore che trasmette un vecchio film (Anna, di A. Lattuada, 1952). Comincia a ballare seguendo i movimenti nel video. Tornato fuori, si siede al tavolino con Gerardo, che non guarda mai la tivù, e glielo ricorda.

3. Sistemato a casa dell'amico, Moretti non riesce a concentrarsi sui suoi "articoli stupidi" a causa del traffico continuo.

4. I due amici lasciano Lipari per Salina, l'isola dei figli unici. Come al solito, Moretti riesce a scrivere solo in viaggio. Sul traghetto, Gerardo tradisce il suo digiuno televisivo, spostandosi continuamente alla ricerca di un buon posto dove guardare il televisore.

5. A casa di amici, si parla di Pietro, il figlio, a tavola, in salotto. Gerardo si estranea dalla conversazione, perché vuole seguire in tivù 'Chi l'ha visto' nonostante il volume sia tenuto basso.

6. Incontro con la seconda coppia di amici , che criticano il rapporto degli altri con i propri figli, ma ammettono di non avere un secondo figlio per non contraddire la volontà di Daniele, il primogenito.

7. Moretti, solo, passeggia osservando un battello che si allontana doppiando un faro sullo sfondo.

8. Gag del telefono: i bambini che rispondono se ne impossessano, frapponendosi agli adulti con i loro giochi e le loro favole. E' la solita voce narrante di Moretti che spiega la situazione.

9. Il protagonista approfitta di un momento di solitudine per dare due calci al pallone in un campo deserto, mentre la macchina da presa allarga progressivamente il campo con una panoramica all'indietro, mostrandoci sempre più in lontananza Moretti, completamente isolato.

10. L'ora del lupo: alle 3 di notte, Daniele (che ha 12 anni) va a dormire con i genitori, cui stavolta fanno compagnia anche Nanni e Gerardo.

11. Di nuovo sul traghetto, Gerardo mostra all'amico di conoscere bene Panarea, che giura di non avere mai visitato, e cita addirittura i versi di Tibullo (Quam iuvat ...) per elogiare la televisione, che con il programma "Una rotonda sul mare" glieli ha ricordati.

12. Sulla spiaggia di Stromboli, cominciano i litigi dovuti alla "minacciosa presenza del vulcano".

13. Comincia il lungo peregrinare tra le case di Stromboli, a bordo di un tre ruote, con la guida del sindaco che cerca ospitalità per i due viandanti. Ma gli abitanti "non collaborano".

14. La sequenza si apre con le immagini del vulcano in azione, con i due amici che contemplano lo spettacolo finché Gerardo non vede alcuni americani, e chiede a Nanni di domandare loro cosa accadrà nelle puntate successive della soap-opera Beautiful, in America già andate in onda. Nanni esegue, non senza qualche imbarazzo.

15. Si riparte, tra i vaneggiamenti del sindaco che vorrebbe rinnovare tutto, a Stromboli, magari con l'aiuto dell'industria cinematografica (Morricone e Storaro).

16. Arrivo a Panarea, e sosta brevissima: l'accoglienza 'aggressiva' di un'animatrice dell'isola che gli offre "idee e contatti" spinge i due amici a ripartire immediatamente, sullo stesso traghetto con il quale avevano raggiunto l'isola.

17. In viaggio per Alicudi, sul traghetto, Moretti si chiede se riuscirà a trovare la sospirata tranquillità, mentre Gerardo continua a difendere il medium televisivo con tutti gli argomenti letterari di cui è capace.

18. Arrivo ad Alicudi, dove un isolano cupo e fiero dell'asprezza del posto, li conduce a casa di uno scrittore che li attende. L'isolano, durante un percorso faticosissimo ("Non ci sono strade, ad Alicudi", dirà) spiega che lo scrittore, dopo aver pubblicato un libro di successo, si è rifugiato lì per fuggire il mondo e il suo narcisismo.

19. Solo in camera con Nanni, Gerardo cerca di convincere anche l'amico della bontà della televisione.

20. Alla ricerca di un po' di nastro adesivo per ricoprire le finestre con del cartone, Nanni è costretto ad ascoltare i discorsi misantropici e funerei del padrone di casa.

21. I due amici e il loro ospite sono all'aperto: Nanni scrive il suo diario, Gerardo una lettera al Papa in cui difende le telenovelas. Quando Gerardo viene a sapere dallo scrittore che ad Alicudi non ci sono televisori, sconvolto, abbandona di corsa l'isola, rinnegando Popper, Enzensberger e le loro teorie.

 

Medici [2]

1. Prologo: Moretti è al tavolino di un bar, e si accinge a raccontare la sua storia, cominciando sempre con "Caro diario ..." ma rivolgendosi, con un appello tramite lo sguardo in macchina, direttamente allo spettatore. Mostra le confezioni dei medicinali presi in un anno e sottolinea che quanto ci apprestiamo a vedere è rigorosamente vero

2. Sequenza girata con una camera a 16 mm, che filma l'ultima seduta di chemioterapia svolta da Moretti per curare il tumore al sistema linfatico.

3. Il protagonista si reca in un istituto dermatologico affollato, e aspetta il turno per la sua prima visita. E' sempre la sua voce soggetto che ci spiega i dettagli e talvolta ci fornisce informazioni che le immagini da sole non veicolano.

4. Il medico lo interroga sui suoi problemi, lo visita, gli prescrive dei farmaci (le ricette, qui ed in seguito, vengono inquadrate in primissimo piano).

5. Immagine notturna di Nanni che, a letto, si agita per il prurito.

6. Ritorno allo stesso istituto dermatologico, con relativa visita eseguita stavolta da un nuovo medico che prescrive nuovi farmaci.

7. Nanni controlla i risultati dell'analisi del sangue, che sono buoni, quindi si decide a chiamare il 'principe dei dermatologi'.

8. Dall'assistente del principe, Moretti riceve nuove ricette per nuovi farmaci.

9. Istituto dermatologico, stavolta reparto allergologia: il protagonista si sottopone ai test.

10. Seduto accanto al frigorifero semiaperto, Moretti riflette sui risultati dei test (è la voce soggetto che ce li illustra).

11. In farmacia, Moretti elenca i prodotti a cui è risultato allergico.

12. Finalmente dal 'principe dei dermatologi', grazie alla raccomandazione di un amico: altri farmaci, altre cure prescritte.

13. In farmacia, il protagonista acquista i nuovi farmaci che gli sono stati prescritti.

14. Il prurito continua: la sequenza, per la prima volta durante questo terzo capitolo, è accompagnata dal commento musicale di un pianoforte, e non dalla voce narrante. Moretti si affaccia alla finestra, si stende sul divano, sfoglia un album di fotografie, sempre continuando a grattarsi.

15. Moretti è al mare (stesso commento sonoro della sequenza precedente), con la camicia a maniche lunghe e i calzini sino alle ginocchia, come i medici gli hanno consigliato. Solo nell'inquadratura, un campo lungo della spiaggia, si siede a guardare il mare.

16. Dopo aver letto i foglietti per le istruzioni, Nanni comincia a sbarazzarsi dei medicinali superflui.

17. Telefonata ad un amico immunologo, che gli sconsiglia il vaccino.

18. Riprende il pellegrinaggio da un medico all'altro: Moretti è in auto e si reca ad un nuovo appuntamento. La voce è off.

19. Il protagonista si rivolge direttamente in macchina, appellandosi quindi allo spettatore, e gli racconta di quell'ultima visita, prima di 'rientrare' completamente nella diegesi e ascoltare i commenti del dottore.

20. Moretti continua il racconto in auto, ma stavolta la voce è intradiegetica, perché vediamo il protagonista parlare.

21. Scena notturna di Moretti che continua a grattarsi.

22. Moretti prova i massaggi: piacevoli, ma inutili. Nuovo appello diretto allo spettatore, mentre fa il bagno nella crusca.

23. Visita in un centro di medicina cinese, con successive cure con l'agopuntura e l'elettricità.

24. Moretti fa una TAC, su consiglio del medico cinese che l'ha sentito tossire.

25. Il radiologo spiega ai familiari di Nanni che crede di aver individuato un cancro al polmone incurabile.

26. Moretti, ancora nell'apparecchio per la TAC, racconta direttamente in macchina la conclusione della vicenda.

27. Epilogo: Nanni è nel bar con i medicinali che ha preso in un anno ed enuncia l'inevitabile 'morale' prima di ordinare la colazione.

 

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3. Le dichiarazioni del regista

 

Ho ritenuto utile ai fini della lettura del film far precedere la fase analitica vera e propria da una breve sezione dedicata alle dichiarazioni rilasciate dal regista riguardo a questo e ad altri film, nella convinzione che esse possano fornire una chiave interpretativa che, seppure non l'unica, deve essere considerata perlomeno privilegiata.

Parlando di comicità, Moretti disse (1986) che "C'è chi si vanta e chi si vergogna di far ridere (...) Io credo che non ci si debba vergognare né vantare: è semplicemente un modo di fare cinema. Facendo film autobiografici, la comicità è un modo per esorcizzare ciò di cui si parla e che si mette in scena. Ironia e distanza sono obbligatorie: quando si parla di se stessi se ci si prende troppo sul serio si rischia di diventare ridicoli". [3] Ecco di seguito altre affermazioni che si riveleranno utili per capire meglio l'autore di Caro diario: "Trovo più interessante essere crudele con me stesso che con gli altri ... E' in questo che consiste quella benedetta autoironia di cui si parla sempre a proposito dei miei film: mi sono trovato a mettere in scena, a prendere in giro, un gruppo omogeneo a me ... se non addirittura me stesso" (1983). "Non faccio il mestiere di regista, ogni tanto faccio film. Ho un rapporto abbastanza personale e delicato con il mio lavoro. Quando sento di poter comunicare qualcosa con un film, comincio a lavorare" (1986). "Spesso faccio delle scelte per andare contro quello che vedo nel cinema e non mi piace (...) Sto sempre attento a non adoperare la macchina da presa in maniera naturalistica o televisiva. Cioè: io mi alzo e vado lì, la macchina mi segue e torna quando torno. Non è questo che serve a raccontare. Non per me, almeno" (1986).

Veniamo adesso al film in questione. [4] "Ho girato Caro diario con estrema libertà, contento di me stesso, desideroso di fare a modo mio. Nel primo episodio scorrazzo per le strade in Vespa in una Roma deserta, seguito solo da una jeep su sui c'erano l'operatore alla macchina e il direttore della fotografia. Una gioia. Mi sentivo libero come quando giravo i miei primi shorts. Anche lo stile ne risente (...) "Sul significato della sequenza dedicata a Pasolini, Moretti risponde: "Rimando a quella scena, a quelle immagini, a quella musica, alle sensazioni che suscita. Non c'è altra spiegazione ..."

I suoi autori preferiti: "Sono molto legato ai film italiani d'autore degli anni '60,quelli che mi hanno formato: Pasolini, appunto, e poi il primo Bertolucci, i primi Taviani, il primo Bellocchio, poi Olmi e Ferreri. E' un cinema che cerca di elaborare un nuovo linguaggio espressivo, ma sempre tenendosi legato alla realtà". I rapporti con il pubblico: "Non c'è per me un pubblico privilegiato. Non voglio sapere per quale tipo di pubblico faccio i miei film, anzi non penso proprio al pubblico. Chi l'ha detto che ha sempre ragione? I peggiori delitti, in campo cinematografico, sono stati commessi in nome del pubblico". Sul suo metodo di lavoro: "Mi guardo attorno, prendo tanti appunti, anche con la cinepresa a 16 mm. Metto da parte tanti ritagli, articoli di giornali, testimonianze, documenti sulla realtà italiana ... Mentre scrivo la sceneggiatura sono al tempo stesso già regista e attore del film che sta nascendo, nel senso che penso a come realizzerò quella determinata scena e a come la interpreterò ..." Moretti attore: "Di solito interpreto me stesso perché così mi esprimo meglio, più direttamente. Ma posso anche recitare per gli altri, insomma fare l'attore". "Se ci fosse un Assessorato al Linguaggio presenterei la mia candidatura a Rutelli". "Le scelte di qualità pagano, in cinema come in televisione, in letteratura, dappertutto ... Io non sono un regista, sono uno che fa film solo quando ha qualcosa da dire. Non è importante fare tanti film. Importanti sono, anche e soprattutto, le tue esperienze al di là del cinema".

 

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4. Descrizione analitica di una sequenza

 

La sequenza che ho preso in considerazione per un'analisi più approfondita è la seconda dell'episodio 'Isole', per una serie di ragioni che motiverò in seguito, durante l'analisi del film, nel quinto paragrafo. L'inquadratura iniziale non presenta particolari caratteristiche tese a sottolineare l'enunciazione: si tratta di un campo lungo, con inclinazione normale, e angolazione leggermente laterale, in cui Gerardo e Nanni occupano la sinistra dello schermo, muovendosi verso destra e attraversando uno spazio sovraccarico di automobili. Il profilmico è infatti per una buona metà costituito da queste auto, parcheggiate o in coda, che mettono in secondo piano lo sfondo paesaggistico dell'isola. La luce è naturale (e quindi, ovviamente, intradiegetica) svolgendosi la scena in una mattinata estiva. L'illuminazione è diffusa, non producendo il sole ombre particolarmente rilevanti. [5] Anche il campo uditivo è dominato dalle auto, dai suoni dei clacson e dei motori che impediscono allo spettatore di cogliere le parole della conversazione fra i due personaggi. Il senso di fastidio è accentuato da un brusco movimento di Nanni che si volge improvvisamente alle spalle, distratto da qualche rumore. L'azione, il movimento dei due amici, in questa inquadratura sono subordinati completamente all'ambiente, o meglio alle auto che se ne impadroniscono aggressivamente. Lo sguardo della macchina con una carrellata accompagna solo parzialmente i due personaggi, che infatti passano davanti alla macchina e abbandonano la scena sulla destra. L'effetto è quello di evidenziare l'attraversamento dell'ambiente da parte dei due, senza però generare quel senso di distacco dal reale, di sguardo oggettivo e assoluto che, come ricorda il manuale di Casetti e Di Chio, sarebbe stato causato da un punto di vista fisso. [6] In seguito vediamo i due amici da un punto di vista completamente opposto, dall'altra parte della strada, più lontano, e li vediamo muoversi da sinistra verso destra. Assistiamo così ad una infrazione della regola dei 180° gradi, ad uno scavalcamento di campo, anche se attenuato dal fatto che i due conversano uno accanto all'altro e non di fronte, per cui non ci sono le condizioni per il campo e il controcampo. D'altronde Moretti (regista) non può certo essere considerato un sostenitore del dècoupage classico; ad ogni modo l'effetto finale è quello di vedere i due ancora più ingoiati nel traffico. L'inquadratura successiva, associata per transitività, poiché temporalmente immediatamente successiva, ci mostra Moretti di spalle, che entra in un bar, e ordina al bancone alla sua sinistra. Stavolta la macchina è posta impercettibilmente più in alto del protagonista, e questo leggerissimo plongeè dà profondità all'ambiente permettendoci di osservare ciò che lo stesso protagonista vede. All'interno, dopo qualche istante, possiamo cogliere un suono-off, non ben distinto, che intuiamo provenire da destra perché lo sguardo di Moretti, incuriosito, si dirige appunto verso destra, introducendo questo fuori-campo. La macchina da presa, che in questo momento sta inquadrando il protagonista che si è voltato attratto dalle voci, si sposta lentamente, con movimento sulla destra che potemmo definire di falsa soggettiva [7] e finalmente ci mostra, dopo una lieve esitazione, il televisore dal quale provengono le voci che hanno attirato l'attenzione del protagonista. Lo schermo televisivo (che si tratti di uno spettacolo televisivo è sottolineato, tra l'altro, dal marchio di Raidue ben evidente all'angolo del teleschermo) ci mostra dapprima il primo piano di una suora che prega, e in seguito, dopo una dissolvenza in nero (il film, in bianco e nero, è del 1950 [8]) dove la stessa attrice (Silvana Mangano) che interpretava la suora è stavolta impegnata in un mambo. A questo punto, il film 'primo' ci propone una serie di inquadrature a metà strada tra il montaggio alternato e il campo e controcampo vero e proprio. Protagonisti Moretti, impegnato a ripetere, talvolta ad anticipare [9] i movimenti dell'attrice, e il film 'secondo' trasmesso dal televisore. Moretti è inquadrato con un leggero plongèe, alle sue spalle lo sfondo è costituito dal bancone del bar, con le paste e i liquori ma nessun cliente né il barista, di cui vediamo solo la mano che porge la spremuta. Il televisore è invece inquadrato dal basso, da una prospettiva che se non è proprio soggettiva, di certo si focalizza, o meglio, si ocularizza molto vicino al personaggio di Moretti. Questi è così preso che quando si gira per prendere da bere non distoglie mai lo sguardo dallo schermo, posto leggermente in alto, su di uno scaffale. Il protagonista comincia anche a fischiettare, continuando a ballare. [10] Lo stacco del montaggio, ci riporta Gerardo in mezzo piano, seduto fuori ad un tavolino. A rendere meno brusco questo passaggio c'è la musica del film secondo, il mambo, che continua per un attimo a risuonare non più in funzione intradiegetica, ma extra, secondo un procedimento già notato nel primo capitolo del film, [11] generando così un raccordo sonoro. L'associazione con l'inquadratura precedente, oltre ad avere una marca di prossimità, poiché siamo all'esterno del bar precedentemente visto, ne ha una di contrasto, se consideriamo la seriosità del professore rispetto alla giocosità di Moretti di qualche attimo prima. Gerardo, mentre fa colazione, chiede cosa è successo nel bar. Il campo si allarga con un impercettibile movimento di macchina e solo in un secondo momento comprende anche Nanni. Tale movimento accentua la distanza tra i due amici generata dal loro rapporto diverso con la tivù, distanza che verrà completamente capovolta nel proseguito del film. Moretti, lo sguardo rivolto alternativamente verso la tazzina e verso Gerardo, che invece fissa meditativamente il fuori campo di fronte a lui, cerca di spiegare che "quella non era la televisione ... era un film strano", ma la conversazione non può nascere perchè Gerardo non guarda la tivù. La sequenza si chiude con il professore che cita tronfiamente Enzensberger, con cui è d'accordo, ma non il suo pensiero, che conosceremo solo in seguito.

 

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5. Analisi del film

 

Procederemo con l'analisi del film considerandone due aspetti: uno più strettamente formale, relativo al livello dell'espressione, a ciò che il film dice (ma soprattutto al 'come' lo dice), sottolineandone cioè gli aspetti locutori; e uno più focalizzato sui contenuti, se vogliamo, dunque, più concentrato sulla forza illocutoria, su ciò che il film 'fa dicendo'.

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5.1. Analisi del film: l'espressione

Riguardo a ciò che il film 'dice', la storia è già stata sintetizzata nella sinossi. Ci soffermiamo ora sul 'come' lo dice. Emergono subito, specie per il primo capitolo, due caratteristiche formali del film che hanno fatto parecchio discutere: la sua frammentarietà, e l'assoluta predominanza di Moretti, presente in tutte le scene.

Vediamo la prima di queste caratteristiche . Qualcuno ha detto che il film è un non-film perché anti-narrativo, una raccolta di appunti sparsi, un diario appunto che distrugge l'idea stessa di film. Tali ragionamenti nascono probabilmente dall'idea fortemente radicata, tutt'oggi, in molta critica, di identificare il film con il film narrativo, con le sue regole e i suoi obblighi. [12] Per questo il film si ridurrebbe ad una serie di spunti, accostati in maniera più o meno disordinata, senza una coerenza locutoria, comunicativa che li leghi insieme; eppure Moretti ha spesso ricordato, che il film nasce dalla voglia di voler dire qualcosa. Come spiegare questa apparente contraddizione?

Noi crediamo che Moretti, al livello dell'espressione cinematografica di cui ci stiamo occupando, si sforzi di creare un'impressione di realtà, secondo quel cinema italiano anni '60 a lui tanto caro. Per raggiungere il suo obbiettivo, distrugge appunto le regole del film narrativo, sconvolgendone ruoli e sistemi. Utilizzando una terminologia più prettamente semiotica, diremmo che in questo film si individuano tre livelli: il referente, cioè la vita di Moretti; il significante, la pellicole filmica cui ci troviamo di fronte; il significato, cioè il messaggio che Moretti ci vuole lanciare. Moretti si sforza di far aderire i primi due: poiché il referente, la sua vita, non può essere ordinata e consequenziale come un film hollywoodiano, egli rende non-consequenziale e abbastanza sconnessa anche la materia significante, cioè il film, il suo montaggio, l'ordine delle sequenze, i dialoghi. Chi si fermi a questo livello, potrebbe parlare di non-film, dal momento che pare difficile trovarvi una coerenza; ma la coerenza c'è, ma va trovata nella materia significata, come faremo in seguito.

A confermare questo sforzo di produrre un film quanto più aderente alla realtà possibile, Moretti è presente sia nel referente (la sua vita) sia nel significante (il film). Ma si tratta di due Moretti diversi: basti pensare che, per ammissione dello stesso autore, la vicenda del terzo capitolo è stata parecchio edulcorata, per renderla più adatta alla trasposizione cinematografica. Altro che 'realtà': la ripresa in 16 mm della seduta di chemioterapia, unico vero spezzone di realtà, sta lì proprio per impressionarci e per farci dimenticare che il resto del film è un discorso sulla realtà, e non la realtà stessa. I critici che hanno parlato di 'spezzoni di realtà', di 'documentazione autobiografica' hanno confuso il referente con il significante, perdendo di vista il significato.

Per rafforzare questo effetto di realtà, per cercare di appiattire il significante sul referente, Moretti si sforza di far combaciare perfettamente la soggettività del Moretti autore con la soggettività del Moretti interprete. Per farlo sceglie la forma diaristica, che giustifica una visione personale e soggettiva, e che spiega anche la sua presenza in ogni scena (benché non è da escludere la spiegazione meno elegante ma altrettanto efficace che riduce tutto all'egocentrismo dell'autore). Il film, nella sua struttura formale, sta insomma cercando di farci dimenticare che c'è un Moretti scrittore, uno regista, uno interprete, sta cercando di fonderli insieme per nascondere l'istanza d'enunciazione, per nascondere l'atto filmico e farci credere di stare assistendo direttamente alla sua vita e non al racconto della sua vita.

Ecco dunque giustificato il disfacimento delle categorie narrative di autore, narratore, enunciatore, enunciatario, narratario, ecc., [13] così comode per l'analisi del cinema classico, e non solo. A parte il fatto che le categorie devono nascere dopo l'opera filmica e non pre-determinarla, possiamo comunque ritrovarle, anche se non ci portano molto lontano perché tutte si identificano in Nanni Moretti. Moretti è il regista, e quindi, ovviamente, l'autore empirico. Ma è anche narratore, sia perché non nasconde mai il suo ruolo di regista, oltre che di interprete, della storia, sia perché rappresenta, tramite la voce soggetto, la fonte più valida di informazioni di tutto il film. Capita anche che la sua funzione di narratore non sia off, cioè extradiegetica, ma che al contrario sia intradiegetica, come quando racconta il suo stato d'animo in auto e noi lo vediamo parlare. Talvolta però funge da narratario, come quando va al cinema, o ascolta i consigli dei medici: è chiaro che in questi casi lo spettatore si identifica in lui, essendo il narratore in questi casi il film secondo, o il dottore. Moretti funge da narratario anche quando si pone nella posizione chiara di osservatore della realtà, per esempio girando in vespa. E' l'autore implicito quando guardando in macchina si rivolge direttamente allo spettatore implicito che ci rappresenta; ma è lui stesso spettatore implicito quando la sua voce ci guida alla lettura delle immagini creando così la nostra istanza logica.

Questo concentrarsi di ruoli nella figura di Moretti serve a sconvolgere la struttura tradizionale del film, a nascondere, lo ripetiamo, l'atto enunciativo. Ma non bisogna dimenticare che nel momento in cui interpreta se stesso, Moretti è pur sempre un attore, come tale si distanzia dal ruolo di autore o addirittura dalla sua persona extra-filmica. Non bisogna dimenticare neanche che è Moretti il centro di focalizzazione di tutto il film, che la realtà è mostrata sempre dal suo punto di vista.

Concludiamo questa parte, ripetendo che è l'effetto di realtà uno dei fini che Moretti si pone per questo film, e che per raggiungerlo, egli sconvolge le regole del film narrativo, trasforma tutto in una forma diaristica che appiattisce i ruoli di autore, regista, interprete. Ma soprattutto, cerca di far identificare il referente (la sua vita, e con lui quella della sua società [14]) con il significante (il film) modellando la struttura del secondo su quella del primo. Ciò non deve portarci a farci confondere il referente con il significato che è un altro, come cercheremo di mostrare nel prossimo paragrafo.

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5.2. Analisi del film: il contenuto

Partiremo proprio dalla descrizione analitica della sequenza svolta in precedenza. Essa ci permette di cogliere quello che interpretiamo come uno dei possibili fili conduttori, uno dei significati, che collegano i vari episodi: la crisi della comunicazione interpersonale, bi-direzionale, con il conseguente isolamento dell'individuo moderno, e il ruolo in tale frammentazione operato dai media (compreso l'amato cinema) che ci abituano alla passività, che ci isolano con la continua creazione di nuovi rapporti sociali e la dissolvenza di altri.

La scena [15] iniziale della sequenza ci mostra un intervento dell'istanza d'enunciazione, per usare una terminologia vicina a Metz, [16] piuttosto forte, anche se difficile da cogliere perché 'travestito' da effetto realista: la copertura delle voci con i rumori del traffico. La completa inavvertibilità delle voci dei protagonisti non è , come potrebbe apparire, un espediente realista, perché se così fosse, non riusciremmo ad udire quasi mai le voci dei protagonisti di un film 'realista', quando si trovano in esterni affollati. L'impossibilità, da parte dello spettatore, di udire le loro voci, è invece un modo di sottolineare ed enfatizzare la presenza ossessiva e fastidiosa delle autovetture, uniche vere protagoniste delle prime due inquadrature considerate. Questo intervento marcato del regime di enunciazione permette di assumere una forza illocutoria sullo spettatore notevole: in questo momento, il film, e attraverso di esso Moretti, sta denunciando la difficoltà della comunicazione orale in un contesto cittadino affollato; il che potrebbe portare metonimicamente ad una denuncia più generale delle difficoltà del comunicare. Ma la denuncia non si limita a questo momento. Quando Nanni e Gerardo sono seduti al tavolino del bar, possiamo udire perfettamente le loro voci (e non perché il traffico sia diminuito, ma perché si è esaurita la denuncia dell'istanza dell'enunciazione della scena precedente). Eppure la conversazione non decolla neanche stavolta. Tra i due c'è una profonda distanza, sottolineata dal movimento di macchina che commentavamo sopra, e questa distanza è causata, paradossalmente, da un mezzo di comunicazione: la televisione. Nanni la guarda, Gerardo no. E allora è inutile parlare del film che Nanni ha visto nel bar, Gerardo non potrebbe capire, la televisione rappresenta un sapere non condiviso, un ostacolo tra i due. Tra queste due sotto-sequenze, quella 'muta' e quella al tavolino, fortemente caratterizzate dall'incapacità non solo di comunicare, ma addirittura di interagire, si intaglia la parte più corposa dell'intera macro-sequenza, l'unica in cui si esplica un autentico momento 'comunicativo'. A comunicare, però, non sono due persone, ma un uomo ed una macchina, un televisore. E dunque non di comunicazione in senso proprio si tratta, dal momento che non c'è risposta da parte del medium, non c'è interazione. E' questo il punto: i mass media simulano [17] una comunicazione bi-direzionale dove l'unico vero soggetto presente è lo spettatore, ma in realtà si tratta di comunicazione mono-direzionale. La sequenza è costruita in maniera tale da mostrarci il rapporto tra il protagonista e il televisore come se si trattasse davvero tra l'incontro tra due persone, personalizzando il medium: l'attesa per l'inquadratura del televisore di cui all'inizio sentiamo solo la voce, la costruzione di campo-controcampo già notata, creano l'impressione di un rapporto dialettico fra i due. Ci aspetteremmo quasi che voltandosi Moretti veda nel bar una stupenda bionda, una star hollywoodiana che cattura con la sua voce. Di una star si tratta, di una sirena, ma purtroppo artificiale. Il rapporto che si instaura tra Nanni e il mezzo televisivo non è verbale, perché in tal caso più evidente sarebbe l'incapacità del medium di rispondere, ma fisico, istintivo. [18] Il film non ci sta dicendo [19] che è possibile comunicare con la televisione, ma anzi che essa è capace soltanto di simulare la comunicazione, ma di farlo così bene da farci dimenticare che ben altra cosa sono i rapporti reali, umani. Nel film 'secondo' ci sono altri personaggi che guardano la Mangano ballare, e si tratta evidentemente di simulacri dell'enunciatario nei quali Nanni può identificarsi; ma si tratta pur sempre di una simulazione. Nanni, che non riesce ad interagire con Gerardo, ci riesce con il televisore, perché nel secondo caso c'è un simulacro che opera per lui e lo priva di ogni responsabilità.

Occorrerà ovviamente fare riferimento ad altri momenti del film, per giustificare questa tesi: basti riflettere sull'atteggiamento di Gerardo, che non partecipa alla conversazione con gli amici perché vorrebbe cogliere le parole di Chi l'ha visto. Il televisore, e per la verità questa non è un'idea originale, lo estranea, lo isola, rompe, o comunque disturba, una relazione sociale. Ma abbiamo anche l'esempio contrario: la conversazione tra Nanni e gli americani, sull'Etna, è resa possibile proprio da quella relazione sociale che una soap-opera come Beatiful ha generato tra il suo amico e gli statunitensi. Si crea così una cultura comune tra due popoli diversi che non parlano neanche la stessa lingua, e questa cultura comune è data dal più basso dei prodotti televisivi. Gerardo vive gli aspetti positivi della capacità dei media (nel suo caso della televisione) di creare relazioni sociali, la sfrutta con l'entusiasmo del neofita, parlando continuamente di tivù con Nanni (sul traghetto, citando Tibullo, o ad Alicudi, spiegando che una partita di calcio teletrasmessa non può "essere il nulla" come vorrebbe Enzensberger) o addirittura con gli sconosciuti, come la signora incontrata durante un viaggio. Enuncerà poi direttamente questo aspetto dei media, quando, ad Alicudi, leggerà la lettera che vuole inviare al papa per difendere le telenovelas, che "avvicinano le famiglie".

Ma non sempre queste nuove relazioni create dai media sono piacevoli: Nanni per esempio non sopporta di essere accomunato ad una generazione di falliti, così cara a certo cinema italiano, vuole spezzare questo rapporto che certi film generano. Opposto al personaggio di Gerardo, quello di Nanni sembra soffrire di questo continuo frantumarsi e ricrearsi di tessuti sociali, si isola, sembra riuscere ad essere felice soltanto quando è solo (e a tal proposito vanno segnalate le sequenze silenziose del secondo capitolo che lo ritraggono passeggiare seguendo un battello o tirare dei calci al pallone in un campo deserto). Oppure quando la comunicazione è simulata, al cinema o con la televisione. Dice di riuscire a scrivere solo quando è in viaggio: in realtà, riesce a scrivere solo quando è solo, lontano da quei rapporti umani troppo difficili che a volte sembrano infastidirlo. Infatti, riuscirà a scrivere nella desolata solitudine di Alicudi, pur non essendo in viaggio.

Di difficoltà di comunicazione, tra genitori e figli, racconta il secondo episodio; essa è addirittura resa emblematica dalla trovata dei bambini al telefono. E' un mezzo di comunicazione anche il telefono, ma è inadatto a creare quelle relazioni di cui i bambini hanno bisogno. Al telefono si possono scambiare informazioni, non raccontare favole: ma questa regola è violata dai bambini, gli unici a dare alla relazione bi-direzionale il ruolo che dovrebbe appartenergli, quello di creare dei rapporti tra le persone.

Le difficoltà delle relazioni interpersonali continuano nel terzo capitolo, quando Moretti stesso ci dice che i medici "sanno parlare, ma non sanno ascoltare". E' un problema che hanno soltanto i medici? E che dire allora di certa critica cinematografica, ridicolizzata nel primo capitolo, che come i medici sembra compiacersi dei propri discorsi senza preoccuparsi più di tanto del destinatario? Lo ripetiamo di nuovo: la comunicazione bi-direzionale durante tutto il film non funziona, mai. Non ci sono dialoghi nel primo capitolo: ogni volta è soltanto Moretti a parlare, e l'interlocutore si limita a rapidi accenni. "Va be' ... Auguri" gli dice l'uomo al semaforo; i ragazzi che ballano sorridono ai suoi discorsi e alle sue domande senza mai esprimersi; il colloquio con Jennifer Beals è l'ennesimo fallimento, poiché lei considera pazza una persona che la fermi per parlare per raccontarle di sé; come faremmo noi, del resto. L'unica persona che sembra disposta a comunicare con Nanni è il ragazzo di Spinaceto, ma stavolta è il protagonista che tronca la conversazione con un brusco "Ciao!" In compenso, anche nel primo capitolo, Nanni riesce in qualche modo a 'interagire' con i media: non la tivù, ma il cinema. Al cinema ci va da solo, e commenta i film che vede consapevole che loro non potranno rispondere, che anche quella comunicazione è soltanto simulata. Ecco cosa il film fa: denuncia queste difficoltà delle relazioni interpersonali.

E perché le relazioni interpersonali, la realtà di ogni giorno, sono così difficili? Non solo perché i media, come abbiamo visto, costruiscono e disfano le relazioni. Ma anche perché chi, come Nanni, fa largo uso di audiovisivi, è abituato ad un mondo dove tutto ha un senso. Negli audiovisivi cioè tutto è progettato per mostrarsi, e attraverso questo mostrarsi per comunicare qualcosa: la realtà audiovisiva è già semiotizzata in quanto materiale significante, e le azioni in cui ci si imbatte sono predisposte per significare. Nella vita di tutti i giorni questo non è vero, e per questo sforzarsi di trovare un senso ultimo alla realtà può portare alla follia, come nel caso di Michele in Bianca, può portare al tentativo di trasformare la realtà dotandola di un senso cinematografico, come vorrebbe il sindaco di Stromboli (i tramonti di Stromboli curati da Storaro, con la colonna sonora di Morricone ...) oppure ad un distaccato ed ironico isolamento, come a Nanni in Caro Diario. Al Nanni che vorrebbe tanto comunicare, attraverso il ballo, per esempio, ma che "invece si riduce sempre a guardare".

Concludiamo qui la nostra analisi, volta a mostrare come Moretti, dietro una materia dell'espressione costruita per sembrare semplice realtà e nascondere l'atto enunciativo, faccia un discorso ben preciso. Un discorso del Moretti che ha voglia di dire, che ha voglia di comunicare, e che sembra riuscirci soltanto con i film.

 

[sommario]

6. Fortuna critica

 

Innanzi tutto va detto che il film di Moretti, uscito nel novembre del 1993, non riscosse un grande successo di pubblico. Fu solo dopo la vittoria a Cannes con il premio per la miglior regia, che il film, ridistribuito, trovò una discreta accoglienza nelle sale. Alla fine dell'anno si piazzò alla al ventesimo posto nella classifica dei film più visti in Italia, [20] con circa sei milioni di spettatori, quarto tra i film italiani dopo Il mostro di Benigni, Anni '90 parte seconda (!) e Perdiamoci di Vista di Carlo Verdone.

Tra la critica italiana, non va certo annoverato tra i suoi estimatori Grazzini, [21] che si definisce perplesso di fronte al successo del regista e si domanda se non sia dovuto al bisogno di miti di cui soffrono i cinefili e ad un'oliata macchina pubblicitaria. Il film, per Grazzini, va inquadrato all'interno di "un narcisismo ideologico che utilizza il cinema come album di ricordi e paniere di sfoghi." "L'operina" di Moretti è considerata esponente di quel "... minimalismo di tanto cinema italiano recente (che) si riflette in una coroncina di sorrisi che qua e là sfiorano il comico ma più spesso evaporano nell'insipido per eccesso di leggerezza". Alla fine, per Grazzini, tra uno sbadiglio e l'altro si salvano soltanto la fotografia e le musiche.

Molto più positivo il giudizio di Emanuela Martini, [22] che definisce Caro diario un film acquietato, "non perché Nanni Moretti sia sceso a compromessi o si sia adattato a quella realtà che non gli è mai piaciuta; ma piuttosto perché sembra avere accettato il proprio snobismo forzato (...) e deciso di coltivare una solitudine protetta da pochi amici". La giornalista dimostra di apprezzare il finto film secondo che apre il primo capitolo ("concentrati in un minuto, i vizi peggiori del cinema italiano anni '90") e, più in generale, tutta la prima parte "bellissima e intensa". Addirittura, la sequenza del monumento di Pasolini, prolissa e noiosa per Grazzini, qui diventa uno strumento con il quale Moretti '"dimostra un coraggio raro nel cinema italiano di oggi: girare il pensiero e l'emozione solo attraverso l'intensità delle immagini".

Flavio De Bernardinis, autore della monografia su Moretti per il Castoro Cinema, [23] vede in questo film l'utopia italo-americana di "scaricare i dati culturali in cinema", contro l'intellettualizzazione della Nouvelle Vague francese, riscoprendo l'amore per la realtà di certa cinematografia anni '60. Si tratta, per il critico, di un film che realizza l'esperienza del transito, di un film che "si rompe ma non si nega", di un testo che abbatte i limiti del contesto per mettere in crisi la concezione stessa di film; anzi, Caro diario, per De Bernardinis, è e non è un film, e comunque non rispetta le regole narratologiche più o meno codificate della struttura filmica. Vale la pena riportare per intero un periodo che ci sembra sintetizzare bene il pensiero del critico: "Il diario annota le cose, come si vedono dalla Vespa, dalla nave, da un lettino di ospedale: quelle stesse cose che, strutturate a puntino in un film, assumerebbero i contorni certi e mummificati dei pezzi d'arte in un museo, qui, nella collezione cinematografica del diario, cambiano campo, (...) dove nulla ha significato perché è solo lo 'zonzo' attraverso che ha senso".

E veniamo ora alla stampa estera. Il Time, magazine statunitense distribuito in tutto il mondo, nel Novembre 1994, un anno dopo l'uscita del film nelle sale italiane, gli dedica un breve articolo. [24] "Caro Diario di Moretti è un brioso viaggio verso la mortalità". Secondo l'autore dell'articolo, Moretti mostra un egotismo più geniale di quelli di Quentin Tarantino o Wes Craven (entrambi autori in quel periodo di film più o meno auto-referenziali come Pulp Fiction e A Nightmare on Elm Street), poiché, nonostante sia presente in ogni scena del suo film, la sua centralità è di natura scettica, quasi modesta. Il capitolo 'Medici', in particolare, "conclude la sua gita con uno scontro contro il muro della mortalità. Ma ancora non può scuotere la filosofia di Moretti del 'prendila così com'è'. Per questo interessante artista, nella vita come sullo scooter, il viaggio è l'avventura". Su Film Comment, [25] in un articolo a proposito del Festival di Cannes, si definisce l'autoritratto di Moretti [26] "fuori-servizio, picaresco, e liricamente non-consequenziale". Del film, la rivista sembra apprezzare soprattutto l'ilarità e gli aspetti umoristici, anche se 'si sbilancia' dicendo "Tutta vita umana, più un po' di vibrante timor mortis. Un buon lavoro". Su Film Review [27] leggiamo la recensione di Nigel Robinson: "Vincitore meritatamente del premio alla miglior regia a Cannes, Moretti si presenta a noi in Caro diario con tre capitoli che formano un'istantanea della moderna cultura italiana". E ancora, "Caro diario è un attraente e brillantemente discreta commedia, una gemma di perspicacia e moderato umorismo sardonico". Senza dimenticare la fotografia, che offre "alcune delle più mozzafiato ed evocative inquadrature di Roma e Stromboli che siano mai state viste", il critico conclude la sua più che positiva recensione definendo la pellicola "lodevole, deliziosa, visivamente splendida e soprattutto divertente". Concludiamo questa breve rassegna critica dando un'occhiata ai commenti della critica d'oltralpe, che da sempre ha mostrato apprezzare molto il cineasta italiano, [28] e in particolare alla prestigiosa rivista cinematografica Cahiers du Cinema. In un articolo intitolato "E la vita continua ...", [29] si legge " il diario è al tempo stesso una forma maggiore e minore che permette a Moretti di evitare il fantasma di un grande film (è già stato girato, è Palombella Rossa)." Per il critico il film non è realista, essendo caratterizzato da un indicibile tratto d'unione tra la nostra immaginazione e il mondo che ci circonda. Si evidenzia soprattutto la libertà che Moretti ha sempre sognato fare sua e il cui prezzo è la solitudine, il vero cuore della pellicola morettiana. "Caro diario è un film sulla solitudine: essa è fonte di malinconia, ma anche di energia". Che il film sia piaciuto ai francesi, lo dimostrano queste ulteriori righe: "Il piacere che suscita questo film non ha equivalenti nel cinema d'oggi. Perché l'esultanza è in contatto con un sentimento di felicità segreta, individuale. Caro diario è un film armonioso, musicale. Ci lascia pensare che, per vivere bene, o comunque un po' meno male, non c'è da scegliere tra il desiderio e la ragione. Sono legate in una specie di miracolo. Il miracolo che è probabilmente all'origine di Caro diario." Il numero successivo della rivista dedica ancora un articolo a Moretti, [30] in cui leggiamo: "Caro diario appartiene a quei rari film che chiamano gli sguardi, e i punti di vista multipli". L'articolo si sofferma in particolare sulla fotografia di Stromboli, paragonandola a quella di Stromboli di Rossellini, ma quello che ci preme osservare è che per l'autore dell'articolo, raramente il cinema aveva "respirato" con una tale pienezza come nelle panoramiche di Caro diario.

Ci fermiamo qui, perché quanto citato dimostra come le critiche sul film (per fortuna?) non siano unanimi, e comunque colgano aspetti sempre differenti, sviscerando sempre nuovi significati.

Un messaggio, però, sembrano averlo recepito tutti: un bicchiere d'acqua, bevuto alla mattina prima della colazione, fa bene.

 

 

TESTI CONSULTATI (in ordine alfabetico):

 

G. BETTETINI, "L'audiovisivo", Milano, Bompiani 1995.

F. CASETTI- F.DI CHIO, "Analisi del film", Milano, Bompiani 1990.

CIAK, Dicembre 1994.

E. COMUZIO, "Moretti a tu per tu con il pubblico", in Cineforum, n° 329.

F. DE BERNARDINIS, "Nanni Moretti", Milano, Ed. Il castoro, 1995.

G. GRAZZINI, "Cinema '93", Bari, Laterza, 1994.

FILM COMMENT, July-August 1994, Vol. 30 n° 4.

E. MARTINI, "Caro diario", in Cineforum, n° 329, Novembre 1993.

C. METZ , "L'enunciazione impersonale o il luogo del film", Napoli, Ed.Scientifiche, 1995.

A. PHILIPPON, "Stromboli, c'est pas fini", in Cahiers du Cinema, n° 480.

N. ROBINSON, "Dear Diary", in Film Review, Special n° 9, Yearbook 1994-1995.

G. RONDOLINO- D.TOMASI "Manuale del film", Torino, UTET 1995.

N. SAADA, "E la vie continue", in Cahiers du Cinema, n° 479/80, 1994.

TIME, "Hey, Nanni", n° 7, November 1994.

 

 

NOTE:

[1] Secondo quanto ci dice Metz, designamo 'voce-soggetto' la foce off del personaggio che racconta (= voice over), che fa uso della prima persona personale, ricorrendo alla deissi linguistica, e che tende ad uscire dalla diegesi, riuscendoci solo parzialmente. Cfr. C. Metz , "L'enunciazione impersonale o il luogo del film", Napoli, Ed.Scientifiche, 1995, pp.157-176.

[2] Lo stile documentaristico di questo terzo capitolo fa sì che la storia sia frammentata in molte micro-sequenze e rende indispensabile l'intervento quasi continuo della voce narrante. Al contrario del primo capitolo, infatti, qui lo sviluppo narrativo c'è ed è molto importante. Abbiamo preferito perciò suddividere il capitolo in molte sequenze brevissime, talvolta costituite da una sola inquadratura, anziché accorparle, per mantenerci fedeli al ritmo sostenuto e quasi giornalistico dell'episodio.

[3] Il testo è ripreso da F. De Bernardinis, "Nanni Moretti", Il castoro, Milano, 1995. Il grassetto è sempre mio.

[4] Le citazioni sono tratte da E. Comuzio, "Moretti a tu per tu con il pubblico", in Cineforum, n° 329.

[5] Tutto il film può considerarsi da questo punto di vista un valido rappresentante del cinema moderno, secondo quanto ne dicono Rondolino e Tomasi nel loro " Manuale del film", Torino, UTET 1995, p.67: "Ben diverso il modo di operare del cinema moderno (...) Le luci sono riprodotte così come sono, senza essere piegate e trasformate dalle necessità del racconto e del senso."

[6] Si veda a tal proposito Casetti- Di Chio, "Analisi del film", Milano, Bompiani 1990, p. 83.

[7] Ma forse Casetti e Di Chio parlerebbero di oggettiva irreale, dal momento che genera "una precisa identificazione con la stessa macchina da presa, nel cui punto di vista anomalo e insieme deciso egli (lo spettatore) cala il proprio sguardo." Casetti-Di chio, op. cit., p..245. Indipendentemente dalle classificazioni, ciò che conta sottolineare è che la lentezza del movimento vuole creare un'attesa e quindi enfatizzare l'ingresso della 'star', la televisione.

[8] Come si è già osservato, si tratta di Anna, di A.Lattuada. Una curiosità: a dimostrazione del fatto che tale film è particolarmente ricordato dai cineasti, ricordiamo che la stessa sequenza del ballo della Mangano era stata citata in una commedia di grande successo del 1958, Mogli pericolose, di L. Comencini. E chissà che altre citazioni in altri film non ci siano sfuggite.

[9] Moretti non solo si muove "come" la Mangano, dopo averla osservata, ma addirittura talvolta ne anticipa i passi, sottolineando, al tempo stesso, la passione per il ballo, già esplicitata, e quella, mantenuta ad un livello più latente nel tessuto del film, per il cinema. Infatti, per conoscere così bene le mosse della Mangano, deve aver visto quel film svariate volte.

[10] La comicità di questa sequenza nasce dal contrasto tra la banalità dei gesti di Nanni, che sta ballando davanti ad un televisore, e la serietà con cui li compie. Complici anche gli occhiali da sole, assolutamente inutili in un interno e quindi indossati dall'attore più per esigenze sceniche che per fedeltà allo sviluppo diegetico, la scena non può non rimandare al film The Blues Brothers di John Landis (1980) che proprio su questo contrasto aveva costruito alcuni effetti comici. Ma si tratta di un associazione che può anche risultare forzata, più che di una autentica citazione, per cui abbiamo preferito relegarla qui nelle note.

[11] Vedi, nella divisione in sequenze, la sequenza n° 9.

[12] A tal riguardo, si veda il 6° paragrafo, dedicato alla fortuna critica del film.

[13] Per una definizione esauriente di questi ruoli, vedi Casetti-Di Chio, op. cit.

[14] Sul perché Moretti parta da se stesso per raccontare la società, ce lo spiegano gli interventi stesso dell'autore: perché ciò gli permette di essere più ironico, più graffiante, senza correre il rischio di apparire un moralista che giudica soltanto gli altri.

[15] Parleremo indifferentemente, nel nostro caso, di scena o di sequenza, pur tenendo presente la differenza terminologica, per cui nella scena il tempo del racconto è uguale a quello della storia, nella sequenza (ordinaria) il tempo del racconto è minore del tempo della storia, seppure per ellissi di minima incidenza. Vedi a proposito Rondolino-Tomasi, op. cit., p.36-37. Si tratta infatti di una distinzione così sottile da risultare superflua nei casi in cui, come nel nostro, le ellissi sono quasi intrinseche del mezzo cinematografico più che avere valenze espressive od enunciative.

[16] C. Metz , "L'enunciazione impersonale o il luogo del film", Napoli, Ed. Scientifiche, 1995.

[17] Il concetto di simulazione in questo caso non è lontano da quello espresso da Bettetini G., "L'audiovisivo", Milano, Bompiani 1995.

[18] Non sorprende che una persona come Moretti, la cui opera cinematografica è sempre stata caratterizzata dalle difficoltà e dagli equivoci causati dal linguaggio verbale, ami tanto il ballo, una forma di comunicazione che coinvolge tutto il corpo, tutta la persona; una comunicazione che forse Watzlawick, Beavin e Jackson (Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971) avrebbero definito 'analogica', rispetto a quella 'numerica' del linguaggio verbale.

[19] Atto illocutorio in cui i critici che accusano Moretti di moralismo troverebbero anche un tentativo perlocutorio, pedagogizzante.

[20] Vedi Ciak, Dicembre 1994.

[21] G. Grazzini, "Cinema '93", Laterza, Bari, 1994.

[22] E. Martini, "Caro diario", in Cineforum, n° 329, Novembre 1993.

[23] F. De Bernardinis, "Nanni Moretti", ed. Il castoro, Milano, 1995.

[24] "Hey, Nanni", in Time, n° 7, November 1994, trad. mia.

[25] Film Comment, July-August 1994, Vol.30 n°4, trad. mia.

[26] "Off-duty" , nell'originale.

[27] N. Robinson, "Dear Diary", in Film Review, Special n° 9, Yearbook 1994-1995, trad.mia

[28] La televisione francese dedicò nel 1990 un documentario della serie Cinema, De Notre Temps al regista e interprete romano.

[29] N. Saada, "E la vie continue", in Cahiers du Cinema, n° 479/80, 1994, trad. mia.

[30] A. Philippon, "Stromboli, c'est pas fini", in Cahiers du Cinema, n° 480, trad. mia.